domenica 15 gennaio 2012

Il pianto del bebè ... e della mamma

Il seguente testo è la traduzione di parte di un video realizzato da una grande scrittrice argentina, Laura Gutman.

"Durante milioni di anni, noi bebè appena nati abbiamo mantenuto uno strettissimo contatto corporale con le nostre madri e anche se negli ultimi secoli veniamo privati di questa incalcolabile vivenza, ogni nuovo bebè che nasce spera di trovarsi in questo stesso luogo, nelle braccia di sua madre.
Se non troviamo rifugio e conforto nel corpo materno, la situazione ci risulterà drammatica e l'ostilità dell'ambiente sarà difficile da affrontare.
Che succede se non otteniamo il livello di conforto di cui abbiamo bisogno?
Per fortuna gli esseri umani quando nasciamo contiamo con due strumenti  indispensabili per la sopravvivenza: in primo luogo l'istinto di suzione, che ci permette ottenere latte e dall'altra parte il pianto che serve per avvisare a nostra madre che abbiamo bisogno di lei. 
Se gli adulti comprendessimo che i bebè non possono risolvere niente con i propri mezzi, dobbiamo accettare che se il bebè piange è perché necessita essere accudito
La domanda che possiamo farci è: diamo priorità alle necessità dei nostri bebè o assegniamo priorità alle nostre proprie necessità? 
Dobbiamo avere fiducia che se il bebè appena nato si sente sicuro, amato, sostenuto, stabile e va confermando che ogni volta che ha bisogno di qualcosa lo va ottenendo, le cose saranno più facili nella vita quotidiana con lui.  
 
Il bebè va organizzando una forte sicurezza interiore e vi assicuro che questo è il tesoro più apprezzato per lo sviluppo della sua vita futura. 
Se avessimo una gravidanza splendida, è possibile che ci sorprenda il puerperio, sapete perché?
Perché durante la gravidanza il bebè accompagna noi, e durante il puerperio siamo noi che dobbiamo accompagnare il bebè, e questo è un lavoro grande. 
Se siamo donne identificate con la libertà, l'autonomia, la libera circolazione, l'indipendenza, è ovvio che quando appare il bebè ci sentiamo prigioniere, abbiamo voglia di scappare ad ogni istante da questa sua domanda incessante e quanto più sente che vogliamo scappare, più il bebè piangerà chiedendoci di rimanere lì. Chi ha ragione la mamma o il bebè? 
Sempre possiamo lasciare un bebè piangere, prima o poi smetterà. Senza dubbio ciò non significa che il bebè abbia ricevuto le cure di cui aveva bisogno, al contrario, ha  solo capito che piangere non serve a niente.
Peggio ancora, il bebè, per ottenere le cure materne, sposterà le sue manifestazioni su altre richieste che possono essere ascoltate dalla mamma: per esempio si ammalerà. E in quel momento  la mamma guarderà la malattia invece di guardare il bebè bisognoso. Lì già facciamo il primo sbaglio. 
Fino a quando siamo bebè? fino ai sei mesi, 1 anno, 1anno e mezzo, 2 anni, 3 anni? Che importa, mentre il bebè chiede abbraccio, seno, calore, sguardo, presenza, permanenza, gioco, lo chiederà e nella misura in cui noi glielo possiamo offrire, il bebè semplicemente si sentirà bene. Quando il bebè sarà sicuro non lo chiederà più perché nessuno chiede ciò che non  necessita. Semplicemente i tempi dei bebè non sono uguali a quelli degli adulti. 
In tutti i casi tutti i bebè piangono e tutte le mamme e tutti i papà la passiamo male. Senza dubbio ci differenzia la ferma intenzione di fare qualcosa per comprenderci più e comprendere il bebè che qualcosa interessante ci sta dicendo.Per cui chiediamo aiuto. 
Possiamo cominciare a fare qualcosa molto facile: teniamolo in braccio, offriamogli il petto, osserviamolo, diciamoli parole affettuose, non è tempo di pensare è tempo di attuare secondo le indicazioni del nostro cuore.
Che succede se nonostante culliamo il bebè, lo abbracciamo, lo alimentiamo, lo consoliamo, il bebè continua a piangere? Allora dobbiamo capire che se il bebè è ancora difficile da calmare, é il momento di chiederci: "che mi succede?", invece di "che gli succede"?
Madre e bebè condividiamo uno stesso territorio emozionale, possiamo dire che sentiamo la stessa cosa. E' vero che quando è nato ci siamo separati fisicamente, attraverso il taglio del cordone ombelicale, però in un  piano più sottile non siamo tanto separati.
Questo fenomeno lo chiamiamo fusione emozionale
Adesso viene la parte più difficile: il bebè espressa in particolar modo tutto il materiale emozionale che le madri non registriamo, che abbiamo relegato all'ombra e possiamo dire che  manifesta tutto ciò che ci si siamo tanto impegnate a dimenticare: situazioni confuse dell'infanzia, segreti, abbandoni emozionali, solitudini, perdite affettive, o dolori senza nome.
Per cui ogni volta che il bebè piange, oltre che abbracciarlo, alimentarlo, cullarlo, proteggerlo, prendiamo contatto con ciò che ci fa male, chiediamo aiuto, conversiamo con le persone più vicine a noi affettivamente, su ciò che succede o che ci è successo, assumiamo i nostri conflitti, e cerchiamo la maniera di affrontarli con maturità.
E se ancora continua a piangere, cerchiamo compagnia, non passiamo tutto il giorno sole con il bebè in braccio. Però attenzione cercare compagnia significa stare assieme a persone che non ci giudichino, che abbiamo semplicemente la capacità di accompagnarci, disposte ad ascoltare e soddisfare le nostre necessità immediate, nostre, delle madri.

Noi madri e i bebè ce lo meritiamo."

Non aggiungo altro, adoro questa scrittrice! 

Nessun commento:

Posta un commento

Tu cosa ne pensi?