sabato 18 ottobre 2014

A casa come va?

Arrivare a casa la sera è diventata una sfida
E’ diventata una routine il fatto di arrabbiarci ogni volta con i nostri figli? 
Ci invadono le stesse arrabbiature e non troviamo una via di uscita? 
Come poter organizzare una dinamica più tranquilla? 
Quando ci imponiamo delle sfide irraggiungibili e non riusciamo a colmare le nostre aspettative personali senza rendercene conto, sviamo queste speranze verso gli altri, convertendo in esigenze smisurate ciò che probabilmente noi stessi non siamo capaci di riconoscere.

Tutti speriamo che i nostri figli rispondano ai nostri desideri: che siano responsabili, che studino, che siano buoni, che rispondano con gentilezza, che aiutino in casa, che siano solidali, insomma che siano perfetti. Però queste aspettative sono tanto improbabili, quanto ridicole, non perché i bambini e gli adolescenti non possano essere possessori di queste qualità, ma perché essi non condividono l’importanza che noi diamo ad ognuna di queste supponibili virtù. Inoltre perché in molti casi neanche noi raggiungiamo questi livelli di eccellenza, puntualità e rettitudine.

Sviare le aspettative personali, generalmente in maniera non cosciente, significa che aspettiamo che gli altri facciano, comprendano, rispondano e agiscano secondo le nostre necessità. Se la nostra vita è caotica, è possibile che ossessioniamo con l’ordine in casa, pretendendo che i nostri figli ci soddisfino e sopratutto che sentano lo stesso che noi: la necessità di avere tutto sotto controllo.
Questo è l’inizio del conflitto: essi “non sentono” l’urgenza di avere i loro getti personali in ordine, invece noi “sentiamo” che se regna il caos in casa
, non possiamo superare lo sconvolgimento interno. E’ ovvio che tutto ciò sarebbe più tollerabile se comprendessimo che si tratta di necessità diverse., non di mancanza di rispetto dei bambini o  degli adolescenti verso noi adulti. 

Cosa possiamo fare per diminuire le arrabbiature non necessarie e per aiutare a creare n clima di convivenza più piacevole?


  • Innanzitutto, concediamoci un minuto di silenzio. Non per convertirlo in un atto sacro, ma per ottenere alcuni istanti personali e mettere i nostri pensieri in ordine. E’ impressionante ciò che possiamo ottenere con solo un minuto di silenzio: non ci avventeremo furiosi su ciò che il bambino o l’adolescente hanno fatto di male. Non grideremo. Non libereremo furie personali. Di sicuro osserveremo che è stato un ottimo primo passo il fatto di calmare la nostra scarica emozionale, che è nostra e che non ha che vedere con ciò che gli altri hanno fatto o no.

  • In secondo luogo, dopo esserci tranquillizzati ed essere entrati in sintonia con noi stessi osserviamoci e notiamo che cosa vediamo. Se stiamo molesti, stanchi, sopraffattinervosi o di malumore, e allora riconosciamo cos'è che ci succede. Che la nostra tolleranza è al limite e che vorremmo andare a dormire senza dover preoccuparci di nessun altro.

  • In terzo luogo, diamo un nome a quello che ci succede.
    Possiamo spiegare con parole semplici ai bambini o ai giovani che siamo molto stanchi, oppure che abbiamo questo o quel problema, o che dobbiamo risolvere alcune questioni di lavoro o temi familiari sospesi o qualsiasi altra cosa che ci tiene preoccupati. Questo ci conferisce a tutti 
    un panorama su come stanno le cose. Probabilmente il fatto di raccontare come stiamo, permetta che anche gli altri possano esprimere ciò che succede loro. Chissà un bambino abbia un’eccellente notizia della scuola, o al contrario trascini qualche difficoltà difficile da riconoscere. In questo contesto in cui diciamo ciò che ci accade, tutti diventiamo solidali. Se la casa è disordinata, e noi abbiamo bisogno di un certo ordine per sentirci meglio, possiamo fare questa richiesta, che sicuramente sarà ascoltata perché stiamo parlando dal cuore. E sopratutto perché anche i bambini si sentono ascoltati, nonostante chissà non possiamo rispondere in questo preciso istante alle loro richieste.

  • In quarto luogo, ricordiamoci che chissà oggi no, ma domani o dopodomani si, o un'altra volta, dovremo arrivare a casa di
    b
    uon umore e disponibili, per osservare i nostri figli e riconoscere tutto ciò che essi hanno fatto in favore delle nostre richieste. Ci dovremo ricordare tutte le volte che studiarono, che hanno sistemato, che si sono fatti la doccia senza che noi dicessimo loro qualcosa. A tutti ci piace essere riconosciuti. E' chiaro che i nostri figli si sentiranno più riconfortati quando le parole dei loro genitori saranno incoraggianti e piene di orgoglio. 

  • Al quinto posto, accettiamo ciò che i nostri figli non tollerano in noi. Prima o poi si lamenteranno che non li ascoltiamo, che siamo preistorici o addirittura autoritari, che non li capiamo, che non li difendiamo e che il mondo adesso funziona in un'altra maniera. E' evidente che ci siano aspetti in cui noi sbagliamo con i nostri figli. 


  • In fine, teniamo presente che se continuiamo a fare il gioco di "chi ha ragione", ci accorgeremo che avere ragione non serve a nulla. Perchè non riusciamo a vivere in armonia. Non stiamo bene. Smettiamo di aspettarci dai nostri figli ciò che noi stessi non possiamo instaurare nella nostra vita quotidiana. 


Laura Gutman

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