giovedì 13 febbraio 2014

Le coliche del lattante secondo il pediatra Raffaele D'Errico

 Questa è la bellissima lettera di un pediatra ai suoi lettori ed alle sue lettrici, scrive con il cuore in mano e merita essere letta tutta! qui il link

Oggi vorrei parlarvi di una cosa che mi sta molto a cuore. Mai come questa volta vorrei che questa lettera facesse il giro del mondo. 
Parlerò del pianto del neonato e delle famose “coliche del lattante” note anche come “coliche gassose” o “coliche dei primi tre mesi”.
Quello che tutti noi medici e non medici possiamo osservare è che il 50% dei neonati sani a termine comincia a presentare, a partire dal ventesimo giorno di vita (ma anche prima), delle crisi di pianto prolungate e apparentemente inspiegabili, che compaiono tipicamente nelle ore serali (fra il tardo pomeriggio e le prime ore della notte) e che spesso si protraggono nei primi 3-4 mesi per poi scomparire improvvisamente.
L’entità e la durata di questo fenomeno è molto variabile da lattante a lattante per cui ogni genitore racconterà la sua storia e proporrà mezzi terapeutici validati sul campo e ritenuti efficaci per aiutare o addirittura risolvere il problema.
Ora, è inutile mettere la testa sotto la sabbia e dire che il problema non esiste, perché – soprattutto nelle situazioni più critiche – la condizione può essere così esasperante, reale e preoccupante per i neo-genitori, che bisogna pur essergli vicino e aiutarli. Ma come?

Il problema più grande è che proprio per cercare di dare una risposta (in buona o cattiva fede) sulle “coliche del lattante”, si è arrivati ad accumulare una marea di informazioni, consigli e, oggi più che mai, di prodotti farmacologici, fitoterapici e omeopatici, inimmaginabile[1].
In questo mare magnum anche di passaparola alcune cose rimangono certe: le coliche continuano ad esistere; non si risolvono quasi mai con i comuni rimedi; la scienza medica non riesce a percepire fino in fondo la loro genesi (sicuramente multifattoriale) e, bene o male, trascorsi tre mesi scompaiono.
La domanda però che ci poniamo è: siamo certi che scompaiono? Ma che cosa sono queste benedette coliche? Sono veramente coliche? Possibile che non si trovi un rimedio o un “bravo pediatra” che abbia la soluzione nel cassetto?
Allora, per un momento facciamo un passo indietro e guardiamo il nostro neonato.
Il bimbo appena nato fino al 28° giorno di vita è chiamato per definizione neo-nato. Dopo queste quattro settimane, caratterizzate da una lunga fase di adattamento alla vita esterna, il nostro pargolo sarà promosso al rango dilattante. E’ giunto il momento in cui potrà concretamente e con più facilità proseguire la sua meravigliosa avventura alla scoperta delle meraviglie della vita.
Si ritiene che questa prima fase sia la più dura che un uomo debba affrontare.
Immaginate solo per un momento cosa accadrebbe in voi se da un giorno all'altro vi mandassero a vivere sulla luna assieme a dei giapponesi. Come vi sentireste se improvvisamente cominciaste a respirare attraverso uno scafandro? (quindi in modo totalmente diverso da come avevate imparato a vivere fino al giorno precedente); a mangiare usando pillole da ingoiare mentre la mancanza di gravità vi costringerebbe a camminare saltando nel vuoto? Non solo ma, per carità, nulla contro i giapponesi, ma come vi sentireste se nonostante il grande desiderio di comunicare con qualcuno dovreste confrontarvi con persone che parlano una lingua incomprensibile come la loro?
Ecco, questo è quanto accade ad un piccolo essere umano quando, dopo un così travagliato viaggio verso la vita esterna si immergerà in un mondo tutto nuovo da scoprire.
Da parte nostra, di noi medici, ce la mettiamo tutta: lo allontaniamo subito dalla mamma; tagliamo immediatamente il cordone ombelicale; lo mettiamo sotto una lampada accecante e lo aspiriamo nelle vie respiratorie e gastriche; poi gli pratichiamo la profilassi oculare gettando qualche goccia di collirio negli occhi e una puntura intramuscolo di vitamina K; un tuffo nella vasca, lo strofiniamo bene; lo asciughiamo; poi lo visitiamo; lo imbacucchiamo; e finalmente lo mettiamo in attesa che la mamma “lo possa vedere”.
Dopo poche ore da una nascita così traumatica il neonato avvertirà fame. Per la prima volta avrà fame e dovrà capire cosa fare per saziarsi. Non conosce ancora il latte della mamma e il modo di succhiarlo; non conosce ancora quella solitudine immensa che proverà quando, nel silenzio e nel buio più assoluti, si sveglierà e percepirà il nulla! Ciò che prima lo tranquillizzava in utero, il battito del cuore della mamma, anche nel silenzio più assoluto della notte, ora non c’è più! E poi, da sveglio, accorgersi che quel pezzo del suo corpo, del suo-tutto, improvvisamente manca. Sì, perché la mamma per almeno i primi mesi di vita è “parte del suo stesso corpo”; in questo periodo come in quello pre-natale il piccolo uomo vive ancora in forte simbiosi con la sua mamma.
Provate allora solo per un momento a pensare quello che il neo-nato possa percepire nei primi giorni e settimane della sua nuova vita.
E mentre lui vive con grande fatica questa fase di adattamento alla vita esterna, manifestando spesso la sua insofferenza e instabilità emotiva, ecco che per noi ogni pianto verrà decodificato, almeno nelle prime settimane di vita, esclusivamente come un problema di alimentazione, di capriccio o, se volete, di coliche, di aria nella pancia…C’è un’idea ancora oggi molto radicata che il neonato non abbia una propria psiche e vada guardato anziché sentito.
Da oltre un decennio si è andato a sviluppare un interessantissimo filone sulla psicologica pre e peri-natale, che riguarda la storia dell’uomo e la sua evoluzione psichica fin dallo sviluppo nel seno materno.
Vi sono segni numerosi oggi che indicano che a un certo punto della vita intrauterina, tra il 5°-6° mese dal concepimento il nascituro si trasforma, non è più un essere solamente sensitivo (cioè che percepisce sensazioni), ma è anche sensibile, il che probabilmente indica la possibilità che i feti possano ricordare cosa avviene loro dalla fine del secondo trimestre in poi. [2]
Thomas Verny, psichiatra canadese [attenzione psichiatra non psicologo], è un pioniere che ha gettato le basi nella conoscenza di quel magico e misterioso mondo che circonda la vita prenatale, preludio fondamentale e determinate nello sviluppo psichico/comportamentale del futuro bambino/uomo.
Senza inoltrarci nei meandri di questo interessantissimo argomento, voglio solo riportare i quattro punti paradigmatici del nascituro di Thomas Verny [3], notizie che ci saranno utili in questa nostra chiacchierata. 
1. La vita non ha inizio al momento della nascita, come comunemente si crede, ma è un continuum che ha inizio al momento del concepimento, il che equivale a dire che tutto ciò che caratterizzerà la gravidanza anche nei suoi aspetti psicologici avrà la sua influenza futura sul bambino;
2. Non vi è separazione tra mente e corpo: tutto ciò che noi sperimentiamo psicologicamente, emozionalmente e mentalmente viene contemporaneamente provato e sperimentato dal nostro corpo a livello cellulare e a livello biologico;
3. Il cervello è sensibile a tutte le esperienze, ma sono in particolare quelle pre- e peri-natali che formano il cervello. «L’esperienza è l’architettura del cervello»;
4. Un attaccamento sicuro con uno o entrambi i genitori aumenta le abilità sociali e cognitive.

Ora, dobbiamo ricordare che l’unica modalità che ha il neo-nato e poi anche il lattante di comunicare è il pianto.Attenzione quindi: ogni pianto non equivale sempre e solo alla classica lista dolore-fame-sete-coliche, ma col pianto il nostro piccolo vuole “semplicemente” comunicare. Certo comunicherà bisogni, ma anche emozioni, tensioni, sensazioni, fastidi.
I bisogni non sono solo quelli fisici (“devo fare cacca e non ci riesco!”; “ho fame!”; “dov’è la mia metà?”; “che caldo!”; “sono stanco ma non riesco a dormire!”), ma anche quelliemotivi (“mi sento solo!”; “è stato così bello quel momento tutti assieme che non riesco a prender sonno!”; “mamma mi manchi!”; “quando viene papà e mette il CD di musica classica?”). E invece noi giù a decifrare ogni pianto solo con dolore-fame-sete-coliche!
Ci saranno invece momenti in cui il piccolo si sentirà immensamente solo e abbandonato e piangerà, griderà la sua disperazione verso una solitudine a cui non è mai stato abituato. In utero nei momenti più buoi e silenziosi che viveva quando si svegliava di notte, gli bastava ascoltare quel cuore palpitante con i suoi magici rintocchi sufficienti per rinsaldare la sua quiete. “Tutto è a posto: sono a casa!”[4]
Molto spesso invece dinanzi al pianto il nostro ragionamento equivale a questa affermazione:
«Se il piccolo ha mangiato, è stato pulito e cambiato, accarezzato, quando è messo nel lettino non c’è motivo che pianga. Se lo fa vuol dire che è un capriccio e per evitare che si vizi bisogna lasciarlo piangere. Piangere apre i polmoni e fa crescere il bambino, lo rende autonomo!».
Oppure: «Può darsi che abbia qualcosa: andiamo dal pediatra!»
Per carità: lungi dal pensare che ora il pediatra debba essere sostituito dallo psicologo, ma questo discorso entra in modo preponderante in un confronto onesto e ampio sulla questione “coliche”, “pianto del neonato” e “primi mesi di vita”.
In fondo in fondo, però, la mamma nel suo cuore sa che far piangere il suo bambino senza accoglierlo è una mera ingiustizia, per cui, nonostante quello che si dica a sproposito, presa dal suo tenero cuore finisce spesso per cedere e prendere il piccolo in braccio, mentre lui così si acquieta. In quel momento – ahimè! - ci sarà sempre la persona di turno che con determinazione e piccante ironia esclamerà:
«Hai visto? O’ vizio de’ braccia!» (il vizio delle braccia).
Finiamola! Esistono mai bambini che a sette anni sono portati in braccio dai genitori perché viziati alla nascita? Ma come possiamo pensare che un bisogno così forte, una fame così pregnante, così significativa più della fame indotta dall’ipoglicemia, possa essere per un neonato di pochi giorni o settimane fonte di vizio? E’ una fame ancora più grande, una fame affettiva, una fame di pelle-a-pelle; di braccia che stringono, di profumo che consola, di voce e parole che da sempre, fin dal seno materno, hanno accarezzato e rasserenato il suo piccolo cuore. Un nutrimento, quello dell’attaccamento, in cui il piccolo cercherà istintivamente sicurezza, quella conferma antica cioè che non verrà abbandonato[5].
Se questa fame – soprattutto nei primi giorni – non verrà soddisfatta adeguatamente, il piccolo comincerà ad avere tempi sempre più ristretti di attesa silenziosa e pianti in risposta sempre più vicini e subito angoscianti. Ci racconta la scienza, è il panico di angoscia da separazione cui corrisponde un’immediata attivazione neurovegetativa di tutto il sistema di sopravvivenza con picchi di adrenalina e cortisolo, l’ormone che più di ogni altro indica l’attivazione dello stress[6].
Ecco come, non accogliendo e non consolando il neo-nato, partirà in lui una condizione di ansia- tensione-stress, e lo stress si sa, prima o poi ti buca anche lo stomaco!
Ma a questo punto del percorso ci sarà sempre quella mamma o quella nonna o quell’amica che ricorderà alla puerpera che lasciandolo piangere prima o poi, come nella sua esperienza, il piccolo finirà per esaurire presto i suoi pianti prolungati, con tanti benefici che ne conseguiranno, per tutti.
«Basterà farlo piangere per le prime volte e poi vedrai!»

Il piccolo che tace dopo un lungo pianto, invece, non ha imparato un po’ di più sulla capacità di autonomia. No! Tace perché è esausto e, soprattutto, perchè è disperato, nel senso etimologico profondo: sta perdendo la speranza di essere confortato quando si sente solo.
Al di là del cibo è proprio il contatto con la madre a dare la maggiore serenità, il più profondo benessere. La fiducia di poter essere amato, la certezza di avere una “base sicura” (su cui John Bowlby ha scritto pagine meravigliose[7]), un’Itaca affettiva a cui tornare sempre[8].

Ma tutto questo cosa centra con le coliche? Ebbene centra! Spesso quando visito questi piccoli lattanti “affetti da coliche serali”, li trovo enormemente tesi, contratti, paurosi; piangono appena li spogli e li tocchi; talvolta sono stitici; le loro mamme hanno paura di spogliarli, chiudono subito la finestra se una fessura è leggermente aperta; talvolta sono molto ansiose (anche alcuni padri se presenti giocano in questo senso); sono piene di timori, quasi spaventate dal grande carico di allevare un esserino così indifeso. Il pianto del loro bambino innesca in loro una forte tensione-ansia-paura.
E allora quello che cerco di far capire a questi genitori è che devono cercare di spostare il problema e superarlo loro per primi.
Racconto a questo punto la solita storia. Immaginate per un momento se fuori di questa finestra cominciassero a bombardare. Sì, improvvisamente nel mondo che vi circonda sembra stia scoppiando il finimondo. Siete preoccupati. Per un momento vi sentite persi. Non avete più punti di riferimento. L’ansia vi assale, le ginocchia vacillano, la pressione sale, il cuore batte accelerato, il cortisolo e l’adrenalina s’innalzano. Lo stomaco si chiude! L’intestino si contrae. Cominciate a strillare. Nessuno è in grado di calmarvi finché lì fuori continuano a cadere le bombe.
Ecco, questo è quanto accade in un bambino, di un giorno come di dieci anni, quando i suoi punti di riferimento, i suoi genitori, vanno in tilt. Allora, la preoccupazione che il piccolo non mangi a sufficienza, che non cresca bene, che possa star male appena lancia uno strillo; il nervosismo che comincia a imperversare in casa; la stanchezza della madre che allatta ed è incompresa; una modica depressione post-partum, tutto questo non fa altro che lasciar percepire al piccolo che “il suo mondo” sta male. Tutto questo che chiamiamo relazione madre-bambino si altera; il piccolo perde i suoi riferimenti; è agitato e scarica sulle terminazioni nervose dell’intestino. Risultato: stitichezza, diarrea, coliche, insofferenza, disturbi del sonno, pianto.
Cosa poi in fondo che sono anche esperienza comune di noi adulti. Vi sarà capitato di essere prossimi ad un esame o a qualcosa di difficile da affrontare; siete tesi e avvertire lo stomaco che si chiude, crampi addominali, piccole scariche di diarrea e pipì che scappa di continuo. Questo accade perché l’organo più innervato e sensibile cha abbiamo è proprio l’intestino.
Che rompicapo e quale impegno diagnostico, allora, per il pediatra anche dinanzi a quei frequenti dolori addominali del bambino più grande o dell’adolescente, dove non si può eludere l’anamnesi psichica, familiare e scolastica del piccolo paziente per comprendere a fondo la loro genesi.

All’inizio di questa lettera ho posto un quesito tra gli altri: siamo certi che al terzo mese queste coliche siano scomparse? E quelle stipsi ostinate sine causa? Quelleansie da deprivazione materna così accentuate che compiano dopo il nono mese e si protraggono alla lunga? E quei disturbi del sonno così seri? Quella maggiore vulnerabilità ad ammalarsi di continuo? E le dermatiti allergiche?
Se quella solitudine, soprattutto quel buio e quell’angoscia di separazione presente in ogni cucciolo, si accentuano e non verranno sciolti in un abbraccio, quale sarà mai la loro ripercussione? Un terremoto neurovegetativo cronicamente attivato che potrà tradursi in maggiore vulnerabilità alle malattie infettive (difese immunitarie depresse dallo stress cronico); aumento delle atopie cioè delle allergie soprattutto cutanee (guarda caso che il mastocita ipersollecitato dallo stress è la stessa cellulare che rilascia istamina nelle allergie). Aumentano così quelle che chiamiamo malattie psicosomatiche di cui – dobbiamo dare atto – non ne sono affetti solo gli adulti, ma anche i nostri bambini.
E allora? Prescriviamo tisane, gocce, antimeteorici, antispastici, prebiotici o ci fermiamo a parlare con le mamme, con i genitori? Non cerchiamo colpe; non carichiamo le mamme di pesi insopportabili. Insegniamo loro solo ad amarsi, ad amare innanzitutto se stesse, a rispettare le loro sensazioni, le loro stanchezze, a riposarsi quando il piccolo riposa, a ritagliarsi attimi di serenità, a non pretendere niente da se stesse perché ogni mamma come ogni donna è diversa dalle altre. Proponiamo ai nostri politici di salvaguardare con grande attenzione la vita del bambino soprattutto nel suo primo anno di vita concedendo astensioni lavorative alle donne, prolungate e retribuite: ciò che ci sembrerà di aver perso (denaro pubblico) lo riguadagneremo dalle miriadi di minori interventi clinici, diagnostici e riabilitativi che dovremo attuare verso tutti quei bambini e quelle famiglie disturbate che oggi aumentano sempre più.
Raccontiamo a queste donne che assieme a quel figlio oggi è nata anche una mamma e che anche per lei, come per il piccolo, c’è tutto un nuovo modo di vedere il mondo, non più da semplice donna ma con gli occhi di una mamma. Non carichiamo pesi insopportabili sulle nostre grandi e belle donne. Ogni neomamma sviluppa un assetto mentale fondamentalmente diverso ad quello che aveva in precedenza ed entra in un campo dell’esperienza sconosciuto alle non-madri. Non contano le motivazioni, le vulnerabilità, le reazioni emotive avute in passato: quando diventa madre, ogni donna agirà a partire da un assetto totalmente nuovo. Dopo aver sospinto ai margini la vita mentale preesistente, l’assetto materno andrà a occupare con forza l’area centrale della sua vita interiore e le imprimerà un carattere del tutto diverso[9]. E’ la nascita di una madre.

Una mediazione saggia, allora, sarà quella che passi attraverso il contatto pelle a pelle che aiuterà la mamma, aiuterà il neonato, tenendosi il bambino vicino al proprio corpo con i marsupiotti o le fasce, proprio come usano le mamme africane i cui bambini hanno disturbi del sonno, del comportamento e dell’umore con un’incidenza notevolmente più bassa della nostra popolazione europea. E poi lasciandoli dormire con sé la notte almeno per i primi tre anni. Affermazioni che oggi vengono dal mondo scientifico[10] e che confermano quanto forse da anni ci sembrava chiaro col cuore. Chiaro che la base emotiva di quel bambino, la sua identità profonda, la sua capacità di fidarsi dell’amore e degli altri sarà consolidata nelle fondamenta [11].

A conclusione di questa lunga lettera mi preme sottolineare che in queste problematiche resta sempre fondamentale il consulto col pediatra. Egli vi aiuterà intanto a decodificare il pianto del vostro bambino e a comprendere se effettivamente possono esserci problemi organici. Evitiamo di usare queste mie parole per generalizzare e cadere nel versante opposto che tutto è solo psiche. Il pianto dei primi mesi può essere tutto quello che abbiamo cercato di balbettare, ma può anche sottendere problemi di altra natura. Dinanzi, infatti, a pianti inconsolabili, magari presenti tutta la giornata, bisognerà sempre tener presente possibili allergie/intolleranze alimentari (alle proteine del latte, al fruttosio, al lattosio), una malattia da reflusso gastro-esofageo, infezioni delle vie urinarie o fatti acuti come otiti e gastroenteriti. Tutto questo è patrimonio di qualunque pediatra. Il resto è da scoprire e conoscere imparando ad ascoltare.
Raffaele D’Errico, pediatra

[1] A. Fabbri C. Bodini, Disease mongering. Una malattia per ogni pillola (http://saluteinternazionale.info/2010/06/disease-mongering-una-malattia-per-ogni-pillola/)
[2] T. Verny, Lezioni di psicologia prenatale e perinatale (www.pediatric.it\documenti\lezionipsicologiaprenatale.pdf)
[3] Ibidem
[4] Antony DeCasper, professore di psicologia dell’Università del North Carolina effettuò un esperimento in cui misurò la capacità di un infante di scegliere tra una voce maschile e il battito cardiaco materno; la maggior parte preferirono il battito cardiaco della mamma. Non solo ma in un altro esperimento DeCasper dimostrò che il piccolo nato non solo dimostra di riconoscere la voce della mamma ma addirittura di ricordare le parole ascoltate durante la gravidanza.
[5]A. Graziottin, Voglia di mamma. Piccole impronte, 3; 2007
[6] A. Graziottin, Voglia di mamma. Piccole impronte, 3; 2007
[7] Bowlby John, Attaccamento e perdita. Vol. 1: L'Attaccamento alla madre 1999; Attaccamento e perdita. Vol. 2: La separazione dalla madre 2000; Attaccamento e perdita. Vol. 3: La perdita della madre 2000; Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell'attaccamento 1989; Costruzione e rottura dei legami affettivi 1982.
[8] A. Graziottin, Voglia di mamma. Piccole impronte, 3; 2007
 [9] D.N. Stern N. Bruschweiler-Stern, Nascita di una madre, pag. 5, Oscar Mondadori
[10] M. Sunderland, The science of parenting, Ed. Penguin
[11] A. Graziottin, Voglia di mamma. Piccole impronte, 3; 2007

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