lunedì 10 febbraio 2014

Sei triste??

Ancora esiste il mito che bambini e bambine siano felici, per il semplice fatto di essere nel pieno dell'infanzia.
Liberi dalle preoccupazioni che soffocano gli adulti, immaginiamo, e a volte rimpiangiamo questa tappa della vita, come un periodo di benessere e piacere, dove le nostre necessità erano soddisfatte e vivevamo solo per divertirci.
 L'infanzia è realmente un paradiso?
L'infanzia non è il riflesso di nessun paradiso terrestre. Crescere non è facile. Ci sono momenti di pienezza e benessere infantile, ma ci sono anche altri momenti di dolore propri dell'apprendimento relazionale e del processo psico-affettivo, che a volte non risulta essere tanto gratificante come si crede.

I bambini e le bambine nella nostra società sono felici?
L'infanzia a volte resta così lontana che tendiamo ad idealizzarla. A volte carichi del nostro presente quotidiano, guardiamo i nostri figli e le nostre figlie pensando che loro sì che sono felici, senza tante responsabilità! Non sempre è così. I piccoli hanno un un ricco universo emozionale, così come anche noi, si sentono tristi e soli nonostante la nostra presenza.

Le loro emozioni sono "affidabili"? Un bambino piange, e un minuto dopo ride, come potremmo interpretarlo?
Questo passaggio rapido da una emozione all'altra può portare ad interpretare equivocamente la sua emozione e toglierle l'importanza che si merita. In realtà il mondo emozionale infantile ed il nostro sono diversi ma ugualmente importanti.
Per esempio un bebè che piange, è un bebè che si trova totalmente inondato della sua emozione, senza poterla comprendere, né canalizzare, fuorché attraverso la consolazione di un adulto. Anche un bambino più grande sente profondamente le emozioni, che siano di tristezza, allegria o rabbia, e seppur molto lentamente comincia a comprendere che rispondono ad uno stato passeggero e poco a poco può verbalizzare il motivo che la provoca. C'è un caratteristica comune tra il bebè ed bambino: hanno bisogno dell'adulto per canalizzare la sua emozione, ed imparare progressivamente a gestirla.

Un bebè può essere triste?
Recenti studi realizzati negli Stati Uniti dimostrano che i bebè che non vengono accarezzati sufficientemente, hanno uno sviluppo cerebrale fino ad un 20-30 %  minore rispetto ai bebè che ricevono attenzioni affettive sufficienti. Vengono denominati "Cervelli tristi" perché nonostante vengano appagate le lor necessità nutritive e igieniche, hanno fame di amore e di contatto epidermico. Le ripercussioni sono molto serie per il loro sviluppo futuro, tanto nel piano emozionale, come su quello intellettuale. Il problema è che passano per poco appariscenti poiché vengono denominati "bebè buoni e tranquilli", che quasi non protestano malgrado passino molto tempo senza questo contatto emozionale che generalmente gli fornisce la madre.

Un bambino grandicello che motivi può avere per essere triste?
Una cosa è la tristezza e altra cosa è la depressione. La prima è  una emozione umana, assolutamente naturale. La seconda è già una patologia, un disturbo più grave e complesso. I bambini possono essere tristi per molti motivi che a volte a noi possono sembrare banali. Come ad esempio il non voler separarsi dalla madre o dal padre in molte situazioni quotidiane: andare a scuola, restare con altre persone senza volerlo ecc. Oppure anche per non sentirsi compresi quando hanno fatto qualcosa senza una intenzione negativa, ma è stata loro attribuita una certa cattiveria, o quando vengono accusati di aver detto una bugia e loro non lo sentono in questa maniera.
La tristezza infantile è più comune e più importante di quello che noi crediamo.

Che atteggiamento assumere quando osserviamo che nostr@ figli@ è triste?
La cosa essenziale è restare accanto. Essere disponibile affettivamente, in funzione della richiesta, sia verbalmente che in forma non verbale (pianto, apatia ecc.), ci manifestano. Se è un bebè, prenderlo in braccio trasformerà la sua emozione. Se è un bambino, è bene cercare di indagare senza interrogare, gli/le trasmetteremo che siamo desiderosi di aiutarl@, sempre manifestando apertamente il nostro appoggio e affetto anche se a volte non risponderanno alle nostre domande o consideriamo che non abbiano motivi "oggettivi" perché siano tristi.

Non è meglio farli diventare "duri" affinché non siano deboli da grandi?
Questo è un luogo comune troppo esteso: la società ci inculca da piccoli che non dobbiamo piangere "così grande e piangi...".
Si ignora che reprimere l'emozione del pianto è impedire il contatto con un vissuto tanto legittimo così come il ridere.
Non è più "forte" chi non piange. Chissà sarà più duro, e sicuramente più insensibile anche agli altri piaceri della vita. L'allegria e la tristezza sono le due facce della stessa medaglia ugualmente degne, essenziali per sentire la vita pienamente.

Yolanda González

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